| Parlare del dialetto trapanese ancora adesso, a.d. 2012 
        ?Forse è vero che per girare il mondo bisogna saper parlare quattro lingue, 
        ma c'è chi ancora vive a Trapani , qui ha il suo mondo, le sue relazioni, 
        le sue radici. Un posto non troppo piccolo per delle storie e dei modi 
        di essere particolari e specifici. Non so se di dialetto se ne parli troppo 
        o troppo poco, quanto bene o quanto male. Se certe vane rivendicazioni 
        ideologiche lo abbiano relegato ad oggetto di scherno o se richiamato, 
        rievocato quasi, manifesti intera la sua dignità di cultura e di strumento 
        di comunicazione rapido, immediato. So però che esso è una presenza costante 
        alla quale non è semplice sottrarsi anche quando non si riesce più, per 
        vari motivi, a dominarlo. E' sulle labbra senza che ce ne si renda conto. 
        Quando non lo si vuole parlare salta fuori, inestirpabile per quanto maltrattato. 
        E quando si crede di parlare "italiano" bene che vada si parla un italiano 
        regionale, o, dove è ancora possibile, "locale". Il dialetto cambia nel 
        corso degli anni perché è vivo e la stessa persona, alternandolo con l'uso 
        della lingua nazionale, così come conosciuta, cambia nel modo di usarlo 
        a seconda delle circostanze, ambientali e personali, nelle quali si trova 
        nel momento di utilizzazione.Questo genera una commutazione inconsapevole 
        di codici linguistici tale da generare un alto tasso di enunciati mistilingui 
        con conseguente insicurezza linguistica derivante dall' incertezza del 
        livello e della qualità della conoscenza delle fondamentali regole di 
        base sia della lingua nazionale che del dialetto. Il che porta a dubitare 
        delle proprie capacità espressive e ad un processo di disaffezione dalla 
        propria identità culturale di origine con il rifiuto del dialetto, mentre 
        un corretto bilinguismo, accettato e voluto, sarebbe una scelta migliore.
 Diverse sono le ottiche con le quali il dialetto viene percepito e nessuna 
        di loro ne esclude un'altra.
 Il dialetto è una piccola lingua, strettamente legata all'ambiente di 
        provenienza di chi parla e per questo connotata positivamente, immediata, 
        quotidiana, efficace, simbolo di unità e di condivisione.
 Per altri è importante per il suo significato culturale, in quanto 
        patrimonio specifico di una comunità, segno della sua identità culturale 
        e sociale.
 Alcuni lasciano prevalere la dimensione intima e affettiva del dialetto, 
        radicato nel nucleo più profondo della propria personalità: lingua del 
        cuore, del ricordo, delle emozioni, degli anni giovanili, dell'evasione.
 Altri privilegiano invece la sua funzione comunicativa, ancora viva e 
        ne evidenziano il valore strumentale di lingua tipica della cultura orale 
        fondata sul rapporto diretto.
 Infine non mancano quelli che marcano il significato etnico del dialetto, 
        intuito come rappresentante dei valori di un popolo, il mezzo attraverso 
        cui le proprie radici col passato si ritrovano nel proprio modo di essere 
        nel presente.
 In tutte queste definizioni è marcata la 
        sottolineatura della dimensione orale del dialetto, vissuto come fatto 
        profondo di cultura, non sradicabile dal contesto sociale e culturale 
        in cui si sviluppa e non scindibile dalla personalità di colui 
        che lo parla.
 
 Chi si occupa del dialetto e perché?
 Non solo quella categoria di persone che lo patroneggiano con sicurezza, 
        ma anche quelli che lo acquisiscono in ritardo e poco alla volta per implementare 
        la propria capacità di comunicazione, rilevandone la comodità 
        ed espressività, e comunque tutti coloro che in un modo o nell'altro 
      si riconoscono nelle motivazioni che abbiamo riportato.
 Con queste motivazioni, trapanese di "ritorno", mi sono dedicato 
        alla specificità del dialetto trapanese, versione particolare e 
        specifica del dialetto siciliano. E nel farlo ho utilizzato uno strumento 
        moderno dopo che dello strumento classico della stampa si era servito 
        con magistrale risultato Giuseppe Di Marzo con Echi dialettali 
        della vecchia Trapani II edizione 1999 [edizione 
        poi ampliata ed integrata nel novembre 2003], mio lume, fonte primaria 
        e guida .
 Vorrei che questo spazio fosse aperto ai contributi di chiunque avesse 
        qualcosa da dire e da suggerire sull'argomento anche per evitare il rischio 
        che sia concepito come un mero repertorio di parole e una semplice ulteriore 
        raccolta di proverbi ecc.   |